Possibile subordinare licenze e autorizzazione al regolare pagamento dei tributi locali

Esaminato il contenzioso relativo alle obiezioni sollevate da un ristoratore a seguito del provvedimento con cui un Comune ne aveva sospeso l’attività a seguito dell’accertamento di un suo corposo debito in materia di tributi locali

Possibile subordinare licenze e autorizzazione al regolare pagamento dei tributi locali

Gli enti locali possono subordinare, con norma regolamentare, il rilascio, il rinnovo e la permanenza di licenze e autorizzazioni, in favore degli esercenti di un’attività commerciale, alla condizione della verifica del regolare pagamento dei tributi locali, unicamente, però, con riguardo alle violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento. Questo il principio fissato dai giudici (sentenza del 23 aprile 2025 del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana), chiamati a prendere in esame il contenzioso relativo alle obiezioni sollevate da un ristoratore a seguito del provvedimento con cui un Comune ne aveva sospeso l’attività a seguito dell’accertamento di un suo corposo debito in materia di tributi locali. All’origine del provvedimento, ovviamente, un regolamento ad hoc, con cui, però, osservano i giudici, è stato riconosciuto all’ufficio competente il potere di non rilasciare, rinnovare o consentire la prosecuzione dell’attività commerciale, a seguito di una verifica di generica irregolarità nel pagamento dei tributi locali, prescindendo dalla contestazione del fatto illecito presupposto, dalla circostanza che esso sia stato effettivamente accertato definitivamente, dalla sua gravità e dall’individuazione di una soglia minima. Analizzando il caso specifico, quindi, secondo i giudici, la linea seguita dal Comune è eccessiva, anche perché poggiata su una interpretazione della norma di legge nel suo significato potenzialmente più ampio ed estremo, com’è ovviamente portato a fare ogni creditore, per massimizzare la coazione indiretta verso il proprio debitore. In sostanza, la norma fissata dal Comune, così strutturata, si risolve in un diniego di tutela – rispetto alla pretesa tributaria, che costituisce il presupposto per l’attivazione del qui controverso strumento di coazione indiretta – sostanzialmente assoluto, giacché nessuna impresa, sotto la minaccia di essere altrimenti deprivata della possibilità di continuare a svolgere la propria attività per effetto dei provvedimenti comunali di revoca di ogni necessaria autorizzazione o abilitazione alla prosecuzione del lavoro, potrebbe mai far valere nelle sedi competenti i propri diritti (di contestazione circa an et quantum della propria posizione debitoria), trovandosi piuttosto sempre costretta a soggiacere integralmente alla pretesa di pagamento dell’ente pubblico, pur di non essere espulsa con effetto immediato dal mercato. Tale condizione – se intesa e applicata com’è avvenuto nel regolamento comunale – è radicalmente incompatibile con uno Stato di diritto e, dunque, con i più basilari principi costituzionali in tema di possibilità di far valere, sempre e in ogni competente sede, i propri diritti e interessi, chiosano i giudici.